sabato 26 novembre 2011

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Era giunto il momento. Il rintocco dell'orologio sanciva il giorno della partenza così come aveva scandito quello dell'arrivo. Quel vecchio pendolo era sempre stato il solo padrone di casa ed ora stava intimando lo sfratto al suo anziano inquilino. Gli oggetti intorno erano stati accuratamente rimessi in ordine. Nell'angolo, la morbida sedia a dondolo avrebbe cullato il nuovo ospite accanto al caminetto già acceso come segno di benvenuto. Il vecchio nella stanza ripassava con lo sguardo gli scatoloni accatastati al centro di quella che era stata un'ampia sala da ballo. Tutto era cominciato con una sinfonia di luci e di colori e con una danza di calici: una festa grandiosa. 'Sembra ieri', pensava tra sé e sé l'anziano. Raccolse da terra un vaso di fiori che teneva con sé e sentì di nuovo il profumo delle rose di maggio. Poi, si avvicinò alla finestra da cui era solito contemplare i tramonti, rossi come i coralli del mar dei Caraibi: ricordò il calore dell'estate. Un soffio di vento penetrò nella stanza ed una foglia di platano, leggiadra come una farfalla di primavera, fluttuò nell'aria andando a posarsi delicatamente sul bordo della finestra. Dagli scatoloni spuntava qualche fotografia: in una era ritratto un bambino su un cavallino di legno; in un'altra un ragazzo giocava su una spiaggia; in una il gatto Giove dormiva sul sofà accanto ad una cesta di vimini traboccante di noci e marroni. Richiuse gli scatoloni ed aprì la porta per andarsene, ma prima dette un ultimo sguardo dietro di sé e le labbra si incresparono in un lieve sorriso. Era sereno. Fiocchi di neve, in punta di leggerezza, iniziarono a ricamare l'aria. Da lontano si udivano canti di Natale intonati dai cori di strada. L'anziano chiuse la porta e scese qualche gradino, poi si arrestò. Aveva scordato di fare un'ultima cosa. Si volse verso il campanello di casa e rimosse la targhetta con il suo nome: nessuno avrebbe più portato quel nome, senza essere automaticamente considerato demodè. Si chiamava Duemilaundici.

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